Maggio 2013
Vernissage: 14 Maggio ore 18:30
Di Igor Zanti
Goethe ne I dolori del giovane Werther, propone un prototipo dell’eroe romantico, inteso come un giovane sensibile, mosso da passioni, che si trova in netto contrasto con la società che non gli consente di vivere con autenticità i propri sentimenti. Alexandre Dumas padre, nel suo Robin Hood e Walter Scott nel suo Ivanhoe, introducono una visione differente dell’eroe romantico, in cui il contrasto con la società spinge il personaggio a porsi al di fuori della legalità. Questa visione sarà poi caratterizzante di tutto il XX secolo e sarà alla base della nascita del mito del bandito buono. Il concetto di genio e sregolatezza, del non seguire le regole, l’idea del vivere al di fuori della società, divengono infatti il viatico per una sorta di rivalutazione a livello popolare di personaggi che, teoricamente, non dovrebbero rappresentare od incarnare valori positivi, in quanto, in netto contrasto con il mondo “borghese e benpensante”. E’ interessante notare come questo tipo di personaggio sia stato e sia, con accezioni e sfumature leggermente diverse, uno dei topoi dell’epoca contemporanea e come tale modello culturale e sociale sai ancora presente e vivo ai giorni nostri. Un caso interessante da questo punto di vista è rappresentato da una figura – una fra tante – che ha caratterizzato la storia più recente del nostro paese, cioè quella di Renato Vallanzasca, ai più conosciuto come il bel Renè, il capo della ferocissima banda della Comasina. Proprio Vallanzasca, nonostante si sia macchiato di efferati crimini, che vanno dalla rapina all’omicidio, un po’ per il suo aspetto estetico molto gradevole, un po’ per i suoi modi di fare da affascinante canaglia, un po’per una rivista e molto corretta assimilazione delle sue nefande imprese al mito di Robin Hood, e divenuto, nel tempo, a livello popolare, un esempio interessante delle molte sfaccettature che assume, in ambito contemporaneo, l’eredità culturale dell’ eroe romantico. A questo bisogna ricordare come Michele Placido nel suo Vallanzasca- Gli angeli del male- un film del 2010- non riesca ad allontanarsi più di tanto da questo cliché, proponendo, nei 125 minuti della pellicola, un ritratto del bel Renè molto influenzato dallo stereotipo di eroe romantico. Non casualmente nella mostra Easy Money Easy Life, una ironica e tagliente satira sullo smodato interesse e peso che viene dato al valore del denaro nella nostra società , Massimo Gurnari riprende a piene mani proprio quell’immaginario vicino all’apologia del bandito che molto deve, anche da un punto di vista cinematografico, ai polizziotteschi degli anni ’70. Gurnari si cala idealmente nelle vesti di un bandito che, pur prendendo spunto da un evidente immaginario vintage, dall’oggetto/feticcio rappresentato dal passamontagna, si ibrida, in un certo senso, con la figura del rapper di colore americano, altro esempio , in salsa yankee, di una delle varie reinterpretazioni contemporanee dell’eroe romantico. La stessa mostra viene annunciata da un teaser virale in cui Gurnari appare come un eroico fuorilegge – forse, tutto sommato, un po’ bandito nella foresta di Sherwood dell’arte lo è veramente – tra sirene, sparatorie ed inseguimenti di bianchirne della polizia, tratte proprio da quel ricco patrimonio di immagini di genere fornito da moltissima filmografia italiana degli anni 70. L’intento di Gurnari non è quello di un citazionismo che si limiti all’omaggio, riproponendo canoni e dimensioni estetiche appartenenti tanto al recente passato, quanto alla cultura contemporanea ma, piuttosto, quello di ragionare, partendo, come si è detto, dal plusvalore morale ed etico che viene attribuito al denaro, su chi sono i veri fuorilegge e chi è veramente reso cieco dalla sete di denaro. Lincoln, Mao e la regina Elisabetta vengono, infatti, rappresentati con gli occhi coperti da banconote che riportano la loro effigie. A fare le spese della satira di Gurnari è anche la povera Maria Montessori che, a sua insaputa, si è ritrovata ad essere bendata della vecchie mille lire che riproducono la sua immagine. Ma i soldi tolgono e limitano anche il potere di espressione, come sottolineano le iconiche rappresentazioni di Michael Jackson e di Gandhi, vittime più o meno inconsapevoli dei giochi di potere e della sete di denaro. Chi sono quindi i veri banditi? Che prezzo si paga per essere fuori dalla società nel bene o nel male? A queste domande rispondono gli interni domestici dove la solitudine domina l’intera scena e che paiono metaforici altari su cui sacrificare, in nome del dio denaro proprio o al altrui, la propria vita. Gurnari realizza una mostra che, tra un giustapporsi di immagini irriverenti, di voluti non sense, e di affermazioni ossimoriche, spinge lo spettatore a valutare e rivalutare in continuazione quello che sta osservando, per coglierne il senso più intimo e profondo. Non vi è infatti una lettura lineare od univoca, poiché i lavori, nel loro insieme, tendono a formulare affermazioni per poi contraddirle immediatamente, ponendoci in una continua contraddizione semantica e spingendoci a modificare il nostro proprio punto di vista. L’ apparente facile ed immediata lettura delle opere, il loro dialogare in maniera stretta e diretta con un evidente e dichiarato processo di iconizzazione, è solo il viatico che usa l’artista per catturare lo spettatore e costringerlo a ragionare. Una delle principali caratteristiche di Massimo Gurnari come artista è, infatti, di riuscire a riassumere ed ad illustrare, con una intrinseca semplicità, realtà molto complesse e controverse, affrontando problematiche, anche molto scottanti, con una leggerezza che non è sintomo di superficialità, ma di una profonda attenzione e acutezza nel leggere la realtà che ci circonda.
Easy money, easy life?